Torta al mandarino

2 uova medie (120 g)
120 g di zucchero
60 g di olio di riso (io ho usato 60 gr di burro)
60 g di yogurt magro
120 g di farina
1 cucchiaino di cannella macinata
2 mandarini (la ricetta parla di succo, ma io li ho frullati...ed erano 5 e non 2)
1/2 bustina di lievito per dolci
1 pizzico di sale
zucchero a velo

Montate le uova con lo zucchero per almeno 15 minuti.
Unite il sale, l'olio, lo yogurt, il succo dei mandarini, la cannella ed, infine, la farina setacciata con il lievito: amalgamate con un frusta a mano per non smontare il composto di uova (procedete con movimenti circolari dall'alto verso il basso).
Versate il tutto in uno stampo da 22 cm di diametro, già imburrato ed infarinato. Infornate a 180 gradi per 30 minuti, quindi estraete, bagnate la superficie con il succo dell'altro mandarino addolcito con poco zucchero a velo, lasciate raffreddare a temperatura ambiente e servite.

Secondo me il fatto di aver messo 5 mandarini invece che 2, le ha dato un gusto molto più deciso (ovviamente ci vorrà un po più di farina per rassodare il composto).

La fonduta

La fonduta è un piatto a base di formaggio fuso, tipico della zona alpina compresa tra la Valle d'Aosta, il Piemonte, la Savoia (regione francese) e la parte sud-occidentale della Svizzera.
Onguna di queste zone ha la sua ricetta: cambiano per esempio il tipo di formaggio e la presenza di vino
Ovviamente la fonduta valdostana e quella piemontese sono legate in modo indissolubile alla Fontina DOP.

L'origine della fonduta non è chiara: per alcuni è nata a Ginevra o a Torino, ad opera dei Cavour, secondo Anthelme Brillat-Savarin la fonduta sarebbe di ispirazione svizzera.
Pellegrino Artusi la definì cacimperio nel suo storico libro di cucina, ma non la tenne in particolare considerazione.
Una testimonianza storica della fonduta si ha nel 1854: una classica ricetta venne pubblicata nel "Trattato di cucina" di Giovanni Vialardi, cuoco dei re Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II.
La fonduta è un piatto unico molto sostanzioso, da sempre consumato con crostoni di pane o con fette di polenta.
Il segreto della fonduta risiede nella capacità di fondere il formaggio facendogli assumere la giusta consistenza, evitando che coaguli formando fastidiosi grumi. Per raggiungere l'obbiettivo è fondamentale scaldare la fontina insieme al latte senza superare i 60 gradi, mescolando in continuazione, per poi aggiungere i tuorli d'uovo che serviranno per dare fluidità e consistenza alla crema di formaggio, che se preparata a regola d'arte non deve filare. La fonduta andrà poi mantenuta calda con l'apposito fornelletto.

La fonduta è un piatto decisamente tosto: costituita da formaggio, con 400 kcal per 100 g, è lontanissima dalle 100 kcal per 100 g di un piatto dietetico. Tuttavia, si può considerare la possibilità di bilanciare le calorie della fonduta abbinandola a cibi ipocalorici (uno dei segreti della cucina Sì): frutta, verdura cruda e cotta, invece del pane e delle patate che in genere vengono abbinate a questa pietanza.

La ricetta della fonduta

Ingredienti per 4 persone:

- 400 g di fontina valdostana;
- 250 g di latte intero;
- 4 tuorli d'uovo;
- 30 g di burro;
- pepe bianco

Preparazione: tagliare la fontina a fettine sottili e metterla a bagno per almeno 4 ore nel latte in una grande pentola di acciaio con fondo spesso. Mettere sul fuoco basso la pentola, aggiungere il burro e mescolare in continuazione con una frusta metallica finché il formaggio non è completamente fuso, quindi aggiungere i tuorli d'uovo e continuare a cuocere mescolando finché il composto non inizia ad addensare (quando raggiunge i 72 gradi), quindi spegnere e versare nell'apposito contenitore con fornelletto, in alternativa versare in un tegame di coccio precedentemente riscaldato in forno, in modo tale che mantenga la temperatura.
La fonduta si mangia con la polenta o con il pane abbrustolito, oppure si può versare sopra delle verdure bollite, aumentando l'indice di sazietà ed evitando di eccedere troppo con le calorie. Condita con tartufo bianco è una vera delizia.

Per chi volesse approfondire anche su altri tipi di fonduta: (http://it.wikipedia.org/wiki/Fonduta)

Camembert

Il camembert è un formaggio prodotto in Normandia ed è considerato uno degli emblemi gastronomici della Francia.

Origine

L'origine del Camembert risale alla fine del XVII secolo. Infatti, già dal 1680 si possono trovare documenti con riferimenti ai formaggi caratteristici del paese di Camembert, il villaggio d'origine e da cui prende il nome il formaggio. Nel 1708 Thomas Corneille gli consacrò un articolo nel suo Dictionnaire Universel Géographique et Historique. Tuttavia, è solo nel 1791 che viene messa a punto la tecnica di fabbricazione del camembert grazie all'opera di Marie Harel, una contadina del villaggio di Camembert, ed ai consigli esperti di un prete originario della Brie.

Descrizione

Il Camembert è un formaggio a base di latte di mucca "crudo" (il latte non deve mai essere riscaldato a più di 37 gradi). È un formaggio a pasta molle con crosta fiorita e di colore bianco. Ha forma rotonda, peso di circa 250 g ed è prodotto con circa 2 litri di latte. È venduto obbligatoriamente in scatole di legno.

Degustazione

Il suo periodo di degustazione ottimale va da aprile ad agosto dopo un periodo di stagionatura che va da 6 a 8 settimane, ma è anche eccellente da marzo a novembre.

Fabbricazione

La fabbricazione segue una procedura tradizionale: il formaggio deve essere messo in uno stampo con un mestolo e sono necessari almeno 5 mestoli per fare un camembert. Ogni passaggio del mestolo deve essere separato da 40 minuti per assicurare una massima sgocciolatura. La sua dimensione massima è di 12 cm.

Tipi di camembert

Camembert di Normandia, l'unico che possiede il marchio AOC
Camembert al Calvados
Camembert fermier (fabbricazione artigianale)
Camembert stagionato al sidro

Puzzone di Moena

Formaggio derivato da latte vaccino latte intero. Richiede una stagionatura da cinque mesi ad un anno circa. L'area di produzione comprende le valli di Fiemme e Fassa. Mentre non richiede alcuna spiegazione la dizione italiana, più difficile da comprendere è la designa ladina del formaggio: Spretz Tzaorì sta, semplicemente, per formaggio saporito. Tipico della Val di Fassa, ha pasta morbida, fondente, con occhiatura rara e irregolare, assai odorosa. Il suo sapore è intenso, lievemente e gradevolmente piccante.
Squisito con la polenta e la purea di patate.

Breve storia dei formaggi DOP

Vedremo di dare un immagine di quello che era, per quanto riguarda i formaggi, lo scenario europeo in quei tempi ormai remoti, citando i formaggi Dop di oggi di cui abbiamo notizie storiche.

In Austria si hanno le prime notizie del Gaitaler a partire dal XIV sec. , in Belgio l’Heive deve le sue attuali tecniche di elaborazione alle abbazie medioevali, in Danimarca l’Esrom fu creato dai monaci del monastero omonimo nei secoli XI e XII, in Francia,visto la grande quantità di formaggi tradizionali, il discorso assume un aspetto più articolato.

Sempre parlando di formaggio l’antenato del Blue de Gex risale all’abbazia di Saint-Claude , mentre lo sviluppo di un formaggio di maggiori dimensioni simile all’attuale lo si deve alla venuta in loco nel 1343 di esuli del Delfinato i quali introdussero le loro tecniche di caseificazione.I primi formaggi prodotti nella Haute-Auvergne, il cosiddetto paese verde, risalgono a 2000 anni fa e la razza bovina Salers, quella da cui si ricava il latte per il Cantal arriva dalla notte dei tempi. Plinio il vecchio citava l’eccellenza dei formaggi di Gabalés e Gevaudan, mentre Broyere-Champier nel XVI secolo esaltava il Cantal.

Lo Chabichou du Poitou , formaggio caprino, nacque intorno all’anno 732 quando i saraceni in rotta dopo la disastrosa sconfitta di Poitiers per mano di Carlo Martello si dispersero in quelle lande impervie. Tra i saraceni numerosi erano i pastori aggregati alle armate con le capre al seguito (chebli in arabo). Queste capre si adattarono perfettamente all’ambiente del Poitou dove si iniziò a produrre formaggio Chabi, da cui il nome dell’attuale caprino.

Cambiando formaggio e andando su un vaccino per l’esattezza il Comté possiamo dire che esso vanta una tradizione piu’ che millenaria. Già i romani ne erano ghiotti e imbarcavano forme nel porto di Marsiglia. I primi documenti scritti risalgono però al Medio Evo quando alcuni cronisti descrissero il funzionamento delle “fruitières” vere e proprie cooperative anti litteram. Per una sola forma occorrevano in media 500 l. di latte. Ecco perché già nel XIII secolo gli allevatori si unirono e fecero affluire il loro latte alle “fureterie”, poi diventate “fruitière”.

Il Laguiole ebbe origine nell’abbazia di Aubrac nel 1120 per rifornire i pellegrini che qui sostavano lungo la strada per Santiago de Compostela.

Per il Maroilles nel XII secolo un “Escript de Pasturage” obbligava gli abitanti dei villaggi della regione a convertire il latte di loro produzione in formaggio, il latte il primo ottobre doveva essere consegnato alle varie parrocchie e poi trasportato a Maroilles.

Il Munster fu creato dai monaci del Monasterium Confluentes nel VII secolo nella valle del Fecht sul versante Alsaziano, un Munster Kaes antenato dell’attuale omonimo formaggio.

Del Neufchatel se ne trova menzione scritta a far data del 1035.

Per l’Osseau-Iraty i primi documenti risalgono al XIII secolo.

La Tomme de Pyrenées fu menzionata addirittura nel XII secolo ed esattamente nella regione del Saint-Girans.

Il Saint-Maurie de Torraine è testimoniato a partire dal VIII sec. in epoca Carolingia come si può leggere negli archivi d’Indre et Loire.

In Grecia il Feta e il Kalathaki sono antichi come i greci. Nell’Odissea Omero riferendosi a Polifemo ci descrive alcuni formaggi da lui prodotti: da questi probabilmente deriva il Feta.

Le Cicladi sono la regione greca dove vengono allevate sin dal XV secolo vacche da latte e dove viene prodotto il Graviera Naxos.

Vi sono addirittura formaggi come il Monouri e il Piktogalo dove la loro storia si perde nella notte dei tempi e ha origine pare dai tempi preistorici.

In Italia come in Francia abbiamo parecchie testimonianze, per esempio il Bitto il cui nome deriva dal celtico Bitu (assegnatoli da clan celtici cacciati dai romani e rifugiatosi nelle valle Gerda e Abaredo).

Del Quartirolo Lombardo e della Toma Piemontese abbiamo notizie dal X-XI sec, del Castelmagno dal XII sec., del Montasio dal XIII sec. ( abbazia di Moggio ), del Bra e del Taleggio dal XIV sec., il Pecorino Toscano e la Fontina dal XV sec., dell’Asiago e della Caciotta d’Urbino dal XVI sec.

Per il Caciocavallo Silano l’origine è avvolta nelle nebbie della leggenda così come resta incerta l’etimologia del nome. Appare sensata l’ipotesi che collega il nome caciocavallo all’abitudine di appendere le forme a cavallo di un bastone orizzontale . Dall’Italia questo formaggio si sarebbe diffuso in ambito mediterraneo dando origine al qasqaval turco e ai vari formaggi simili di altri paesi ( Bosnia,Bulgaria,Ungheria,Romania e Russia ).

Del Fiore Sardo abbiamo una allegoria in una statua di bronzo ( 1° millennio A.C. ) ritrovata a Dolianova e conservata al museo di archeologia di Cagliari che raffigura un pastore con un ariete sulle spalle.

Il Fiore Sardo deriva dunque dai formaggi pecorini prodotti in Sardegna fin dall’antichità più remota.

Il Grana Padana ebbe origine nell’anno 1000 per mano dei monaci Cistercensi di Chiaravalle.

La Mozzarella di Bufala risale al XII sec. da notizie del monastero di San Lorenzo in Capua.

Il Murazzano e il Roccaverano trovano origine in quei formaggi astigiani e cebani elogiati da Plinio il vecchio nella sua Naturalis Historia.

Per il Parmigiano Reggiano le fonti più antiche parlano di un Caseus duro; la prima testimonianza letteraria l’abbiamo con Giovanni Boccaccio.

Il Pecorino Siciliano è il più antico dell’isola e le sue origini vengono fatte risalire al ciclope Polifemo.

Leonardo da Vinci cita il Valtellina nel Codice Atlantico nel 1500.

Il Pecorino Romano prodotto oggi non differisce sostanzialmente da quello prodotto 2000 anni fa. Studiosi come Marrone, Galeno, Plinio il vecchio parlano dettagliatamente di questo formaggio nelle loro opere e Columella del suo trattato De Re Rustica scritto nel I secolo d.c. descrive una metodologia di preparazione che potrebbe essere tranquillamente seguita dai moderni caseifici.

Nei Paesi Bassi la fabbricazione del formaggio ha origine nel medio evo con l’Edam che venne esportato in tutto il mondo grazie al porto antico di Zuiderzee.

In Portogallo abbiamo il Queijo de Saò Jorge del XV sec. Il Queijo Serra de Estrela fu citato nel medio evo da Gil Vicente descrivendo i prodotti di questa zona montagnosa. I formaggi portoghesi come li conosciamo noi hanno origine all’inizio del 900, benchè di alcune tipologie vi siano tracce più antiche.

In Gran Bretagna lo Stilton risale al XVIII sec, il Glaucaster al XV sec, mentre del Cheddar prodotto sulle colline Memdip Hills vicino alla Cheddar Gorge abbiamo notizie dal XVI sec, ma la sua storia risale all’epoca in cui i romani introdussero i formaggi a pasta dura fra le popolazioni inglesi.

In Spagna il mitico Cabrales risale al XVIII sec, dell’Idiazabal abbiamo testimonianze archeologiche in varie zone dei paesi Baschi in particolare le grotte di Husas e di Arenzana testimoniano l’attività pastorale di quest’area già nel 2200 a.c.

Del Mahòn proveniente da Minorca e definita dai greci l’isola del cacio, abbiamo testimonianza nell’alto medio evo ( 417 d.c. ) da parte del Vescovo Severo nelle sue encicliche.

Del Picodòn Bejes-Tresviso abbiamo testimonianza datata 15 maggio 962 nel Cartulario di San Toribio di Lièbana.

Del Queso Manchego esistono testimonianze archeologiche ( ritrovamento di utensili ) che è possibile vedere nei principali musei della regione.

Del Queso Zamorano troviamo traccia negli archivi di Zamora già nel periodo medioevale.

Il Queso de Libano merita un discorso a parte. La conservazione del formaggio tramite affumicatura era praticata in Cantabia già in epoca romana e permetteva la conservazione e il trasporto del formaggio sino a Roma. Tale sistema fu utilizzato anche per conservare il formaggio nelle traversate transoceaniche come testimoniato nel 1442 da Riba Herrera, uno dei colonizzatori del Perù.

Nel perdurare dei secoli il formaggio ha avuto un rapporto ambiguo, fu oggetto tanto di fanatismi quanto di repulsioni.

Piero Camporesi nella sua raccolta di saggi “Le officine dei sensi” scrisse: “... Per molti secoli si ritenne che la malignità intrinseca del formaggio, la sua nequizia venisse preavvertita e segnalata dal suo odore, per non pochi nauseabondo e stomachevole, indice sicuro di residuo in decomposizione, materia sfatta e deleteria, sostanza putredinosa nociva alla salute e terribile corruttore degli umori...”. Da tale convinzione si presuppone che il formaggio fosse considerato cibo da contadini e da poveracci, indegno di persone perbene e civili.

Le poche testimonianze antiche e medioevali sulla diffusione del formaggio in Italia indicano che si trattava di un alimento diffuso soprattutto tra i più poveri, che lo utilizzavano come "riserva di cibo". Con il tempo e il diversificarsi delle lavorazioni, variò pure la considerazione in cui veniva tenuto il formaggio: alcuni tipi, come lo "spongius" e il "filosus", più scadenti, continuarono ad essere presenti sulle mense più umili; altri, come le robiole e il "seratium", furono considerati delle vere e proprie ghiottonerie ed apprezzati in modo particolare alla corte sabauda, come testimonia un registro del 1270.

Il suo consumo nelle taverne cominciò ad imporsi nel '700 unitamente al burro che si impadronì della grande cucina aristocratica. Lo prova il fatto, che risalgono a questo periodo, le terminologie più appropriate per le quali i nomi cominciarono a fare riferimento a tipicità produttive e di luogo.

Oggi le cose sono cambiate. Il generale De Gaulle disse: “Come si può governare un Paese che ha più formaggi che giorni nel calendario?”. E qui per quanto risaputo non sarà banale ricordare che in Francia il formaggio è protagonista in ogni tavola.

E che dire dell'Italia che secondo uno studio dell'Insor (Istituto di Sociologia Rurale) ne segnala ben 403 di cui 30 tutelati da una Denominazione Tipica o di Origine e molti altri hanno già fatto richiesta e sono in attesa del riconoscimento europeo.
Il formaggio per la sua costituzione chimica e biochimica e per i molteplici fattori naturali e umani che ne influenzano le caratteristiche risulta essere un alimento estremamente complesso e di spiccata unicità. Pur se la base è costituita da tre soli elementi: acqua, grasso e proteine con aggiunta di sale , le differenze in ogni formaggio sono elevate. Queste differenze sono giustificate dal tipo di foraggio e dipendono molto dalla tecnologia di fabbricazione che fa si’ che i formaggi acquistino caratteristiche proprie, uniche, a volte irripetibili al di fuori dell'ambiente di origine, generando cosi’ una grande varietà di caratteristiche organolettiche, di sfumature, di aromi e di gusti per il piacere di chi li assaggia.

Breve storia del formaggio

Il cibo che oggi consumiamo sulla pasta, come contorno al secondo o semplicemente da solo, rappresenta una scoperta significativa nella storia della nostra civiltà.
Sul formaggio i popoli nomadi fondarono la loro economia, inoltre il formaggio era molto importante nell’Asia Centrale nelle steppe, nella Mesopotamia, nell’Anatolia, e nel Medio oriente, paesi in cui la società era basata sull’agricoltura e sull’allevamento. Dai 10000 ai 18000 anni fa i pastori hanno inventato il formaggio in Mesopatamia, nella valle compresa fra il Tigri e l'Eufrate, e nell'Indus. Il documento più antico che testimonia con particolare precisione le fasi di lavorazione del latte si può ammirare nel bassorilievo di civiltà Sumera denominato “Fregio della latteria”, che risale al III millennio A.C., dove sono rappresentati i sacerdoti (esperti caseari dell'epoca) nei diversi momenti applicativi della tecnica casearia.

Nel 7000 A.C. in Asia le popolazioni cominciarono ad addomesticare gli animali e le tribu’ che migrarono in Europa portarono i loro usi e il loro bestiame. Con la pastorizia appare logico pensare che le risorse principali dell'uomo fossero quelle derivanti dalla produzione di carne e latte. Il latte eccedente al fabbisogno familiare veniva destinato alla produzione di bevande lattiche acidificate, il cui scopo era quello di poter conservare il più possibile un prodotto facilmente deteriorabile, questa tecnica delle bevande ha probabilmente preceduto l'arte di fabbricare i formaggi. Con la produzione di bevande a base di latte acidificato inizia la storia della caseificazione e la produzione dei formaggi a pasta fresca e molle. I primi derivati del latte, che ebbero diffusione in tutto l'Oriente, furono le bevande acide come il Komos e il Kumis citate da Erodoto e Senofonte.

Si pensa che i tartari, i tibetani e i persiani conobbero il formaggio ancora prima dei babilonesi e degli ebrei ma non ci sono prove che lo documentino. In Asia nel vecchio Iran nel 8000 A.C. addomesticarono per primi le pecore e le capre. Sono stati trovati dei documenti che provano che nel 7000 A.C. nel medio oriente l’allevamento era già fiorente. E’ stato stabilito, inoltre, che fra il 6100 e il 5800 A.C. nell’epoca neolitica nell’Anatolia e nella Macedonia si inizio’ ad addomesticare e ad allevare i bovini. Nel 3000 A.C. allevarono i bufali. Nel 5000 A.C. in Italia, nel sud della Francia, e nel nord Africa iniziarono l’allevamento di pecore e capre. Gli abitanti dei balcani della valle di Tuna per primi portarono in Europa le mucche nel 4000 A.C. Scavi archeologici fatti in Italia e Francia hanno permesso di dire che già nel 2800 A.C. in questi paesi veniva fatto un formaggio molle primitivo. In babilonia il formaggio era riservato alle persone ricche. Nella bibbia il formaggio è tenuto in grande considerazione. Nel secondo libro di Samuele 17,29 è riportato :’Latte acido, formaggi di pecora e di vacca per Davide e per la sua gente perché si sfamassero’. Gli ebrei quando si spostavano mettevano il latte in otri fatti con lo stomaco delle pecore, e durante il viaggio il latte sbattendo si separava, a questo punto lo scolavano, per farlo asciugare al sole e poi lo mettevano con il sale in vasi di terracotta pronto per il consumo o la conservazione. In India sia per il clima caldo umido sia perché le vacche erano già considerate sacre il formaggio non ebbe a svilupparsi.

In Palestina il freno fu esercitato dal divieto imposto dalla religione ebraica al contemporaneo consumo di carni e di latte ed essendo di caglio animale questo divieto colpì anche il formaggio; ciononostante il vincolo venne superato facendo cagliare il latte con il succo di fichi, anziché con gli enzimi di origine animale.

I Greci chiamarono in causa Amaltèa, la mitica nutrice di Giove, padrona di una capra prodigiosa con il cui latte e derivati avrebbe nutrito il dio. Il corno di questa capra sarebbe poi diventato la cosiddetta cornucopia ossia il corno dell'abbondanza, inesausto fornitore di cibarie. Anche Omero si riconduce alla capra "cretese", rammentando i deliziosi formaggi isolani prodotti seguendo una formula segreta dettata dagli Dei. Nella Grecia classica si riconduceva la scoperta del caglio alle ninfe, dalle quali l'avrebbe appresa il mitico Aristeo, che l'avrebbe poi diffusa tra gli uomini. Durante le olimpiadi in Grecia il formaggio fu la principale fonte di energia degli atleti, veniva unito in un impasto con olio di oliva, farina, frutta e miele.

I Romani perfezionarono le tecniche casearie dei greci quando introdussero l'uso del latte vaccino fino ad allora poco utilizzato; la razione giornaliera di "pecorino" dei legionari romani, secondo Virgilio, fonte più che attendibile, era di 27 grammi. Il latte caprino ed ovino lasciato in canestri coagulava spontaneamente oppure la coagulazione veniva accelerata mescolando continuamente con rametti di fico o aggiungendovi direttamente succo di fico o semi di cardo selvatico. Separando così la parte più densa, che si rapprendeva e acquistava una certa consistenza, dando così origine ai primi formaggi denominati anche “Giuncate” perché prodotti in contenitori di giunco o canestri. I romani sperimentarono oltre al cardo e al fico lo zafferano e l’aceto per cagliare il formaggio e questa mistura veniva chiamata coagulum. Nel I sec. D.C. i Romani per accelerare la stagionatura dei formaggi li misero sotto pressione con dei pesi forati (pressatura).

Nel III sec. D.C. l’imperatore Diocleziano ordinò che il formaggio fresco fosse venduto avvolto in foglie e che quello stagionato fosse salato sulla superficie.

L'odierno vocabolo "formaggio" è una derivazione della parola "formos"; con questa parola gli antichi greci solevano indicare il paniere di vimini nel quale era d'uso riporre il latte cagliato, per dargli evidentemente forma. Il "formos" greco divenne poi la "forma" dei romani che, a sua volta, si trasformò, nell'antico francese, in "formage" per arrivare infine ad assumere le moderne versioni dell'italiano "formaggio" e del francese "fromage.

Un racconto popolare piemontese, la cui origine si perde nella notte dei tempi, sostiene che Annibale, scendendo dalle Alpi alla conquista di Roma, si trattenne in Taurinia per merito delle "tome". Nelle leggende, si sa, c'è sempre un fondo di verità. Annibale sicuramente passò dal Piemonte durante la seconda guerra punica. Il 23 settembre del 218 a.C. è la prima data storicamente certa in cui si menziona Torino. Annibale, dopo aver circondato la città, vinse i Taurini al terzo giorno di assedio mettendo a ferro e fuoco il tessuto urbano. Si pensa che per le migliaia di Cartaginesi e i loro alleati essendo affamati e certamente non abituati a tradizioni alimentari così legate al latte, le "tome" piemontesi siano state una sorpresa tanto insperata quanto gradita. Preso come apologo, il racconto di Annibale e delle "tome" rappresenta un'ulteriore conferma dell'antichità della tradizione casearia piemontese.

Il passaggio dei cartaginesi avvenne più di duemila anni or sono, ma è certo che per risalire all'epoca in cui si iniziò a produrre formaggi in Piemonte si dovrebbe fare un ulteriore salto indietro di alcune altre migliaia di anni, quando le migrazioni delle tribù indoeuropee diffusero presso le popolazioni locali l'allevamento dei bovini e la lavorazione del loro latte. I graffiti risalenti al neolitico (tra il 5000 e il 2000 a. C.) rinvenuti sul Monte Bego ( Alpi Marittime ) testimoniano che già in quell'epoca era praticato l'allevamento dei bovini e assai diffusa la produzione di formaggi.

Tra i diversi tipi di formaggio ve ne sono alcuni risalenti a secoli e secoli fa altri di origine recente. L'evoluzione costante della tecnica di preparazione, lavorazione e stagionatura dei formaggi non deve far pensare a mutamenti rivoluzionari avvenuti nel corso dei secoli. Infatti i principi basilari per ottenere il formaggio sono rimasti gli stessi; le modifiche avvenute nel tempo sono dovute principalmente alla fantasia e ai gusti differenti dei produttori e dei consumatori delle varie epoche storiche.

In Europa , tranne che per alcune eccezioni, i formaggi che oggi noi conosciamo ebbero origine dal XIV al XVI secolo. Custodi e precursori delle attuali tecniche casearie furono senz’altro i monaci.
D’altro canto è anche vero che mentre gli scritti dei monasteri sono giunti sino a noi, di quello che era la sapienza popolare non ne è rimasta traccia scritta ma solo la tradizione orale difficilmente databile e verificabile.

Pasta noci e pancetta

Ultimamente è un piatto che mi faccio spesso quando sono a casa da solo, semplice e veloce.

INGREDIENTI x 1pers

1 vaschetta di pancetta tagliata a fiammifero (a cubetti non entrerebbe nel maccherone)
3/4 noci grosse
1 cucchiaio di panna
Olio

Far soffriggere la pancetta con l'olio
Pestare le noci con il mortaio (devono essere polverizzate)

Quando scolate la pasta conditela con la pancetta e le noci e versate il cucchiaio di panna (non esagerate con la panna, perchè deve servire unicamente da collante per le noci altrimenti vi coprirà gli altri sapori).

Se proprio volete, un pizzico di pepe nero per renderla più viva, ma è buona anche senza.

:-))

Squaquarone

Lo Squaquarone è un formaggio fresco prodotto con latte vaccino; ha una pasta molle di color bianco; il sapore è dolce e delicato.
Per quanto riguarda il nome (squacquerona o squaccherone) qualcuno dice che derivi dal modo sgangherato in cui ridevano e ridono ancor oggi i contadini burloni della Romagna. Altri assicurano che cosi' è stato chiamato per la sua morbidezza, visto che "squaquaron" ricorda il rumore prodotto dalle cose che si squagliano.
Viene consumato preferibilmente con la classica piadina.

Mi raccomando il Sangiovese :D

Parmigiano Reggiano

Quando si dice che il Parmigiano-Reggiano è "da almeno otto secoli un gran formaggio" non si afferma soltanto la sua antichissima origine; quello che si mette in evidenza è che questo formaggio è oggi esattamente com' era ben otto secoli fa, con lo stesso aspetto e la stessa straordinaria fragranza, fatto allo stesso modo, negli stessi luoghi, con i medesimi e sapienti gesti rituali. Testimonianze storiche dimostrano che già nel 1200-1300 il Parmigiano-Reggiano aveva raggiunto quella tipizzazione perfetta che si è conservata sostanzialmente immutata fino ai nostri giorni. Il che significa che la produzione casearia del comprensorio ha sicuramente origini molto più antiche, dal momento che si può ragionevolmente supporre che le caratteristiche peculiari del prodotto fossero state raggiunte molto tempo prima. Lo "standard" del Parmigiano-Reggiano è infatti un'evoluzione di antichi e straordinari formaggi, già citati da autori latini, determinata dal costante perfezionamento delle tecniche di caseificazione. I primi casari che ottennero da forme lavorate quei caratteri unici che rendono ancora oggi il prodotto inimitabile si resero subito conto di avere creato una opera d'arte; e da uomini saggi si contentarono della eccellenza qualitativa raggiunta. L' impegno e la dedizione erano stati premiati; ma come per ogni lavoro creativo non era mancata "la parte di Dio". Infatti, oltre alla mano dell'uomo, molti altri elementi indipendenti dai suoi sforzi avevano concorso a produrre il risultato perfetto. Sono elementi che raramente si riscontrano altrove e mai nella stessa irripetibile composizione: la formazione geologica del terreno, la particolarità degli allevamenti, quella dosata combinazione di circostanze agro-geo-ambientali ed umane che permette la produzione di un latte di pregio, diverso anche da quello di zone geograficamente vicine, l'unico latte che può dare origine a un formaggio eccezionale, capace di una maturazione lentissima, che lo carica di sapori inimitabili.
E' invece da attribuire tutto agli uomini il merito di aver conservato orgogliosamente attraverso i secoli le patenti di nobiltà del Parmigiano-Reggiano e di non aver ceduto, nemmeno oggi - in cui tutto è tecnologia ed automazione - alla tentazione di semplificare le funzioni e le attività. Così i casari, oggi come una volta, continuano nella loro fatica e nel loro rischio, ostinandosi con lealtà e con fierezza a fare il loro formaggio solo con il latte, col caglio, col fuoco e con l'arte e perseverando nell'osservanza schietta e rigorosa di metodi secolari e nell'applicazione di una tecnica che è frutto di particolare vocazione e di maturata esperienza.
Secondo il Platina, umanista cremonese del '400: "Due sono oggi in Italia le specie di formaggio che si contendono il primato: il 'marzolino', così chiamato dagli Etruschi perché si fa in Etruria nel mese di marzo e il Parmigiano nella regione cisalpina, che si può anche chiamare 'maggengo', dal mese di maggio". Un'altra citazione è tratta da un libro di Francesco Maria Grapaldo, dove si commentano passi di Vitruvio e di altri autori latini. Così recitano le traduzioni: "Formaggio Parmigiano: ai nostri tempi in Italia si dà un primato di qualità al formaggio Parmigiano, mentre un tempo si vantava l'abbondanza della lana. Di qui il distico: ...sono il nobile frutto del latte di Parma..".

Non occorre compiere laboriose ricerche nelle nostre biblioteche per radunare documenti sull'antica origine del Parmigiano-Reggiano. Una delle citazioni più significative si trova addirittura nel Decamerone e non c'è dubbio - per le parole stesse con cui è espressa - che il Parmigiano, a cui Maso si riferisce nel descrivere a Calandrino il paese di Bengodi, è esattamente lo stesso formaggio che oggi si fregia del nome di Parmigiano-Reggiano: "et eravi una montagna di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti, che niuna altra cosa facevan, che fare maccheroni e ravioli", con l' altra bella trovata che, una volta cotti, li facevan rotolare sul formaggio per condirli meglio. E quella di condire la pastasciutta con il Parmigiano è tradizione antica, come testimonia, già nel 1500, Frate Salimbene nelle sue"Le Cronache". Sempre al XVI secolo risale la testimonianza che afferma che "in questi tempi il primo vanto all'Italia è dato per il formaggio Parmigiano, mentre una volta glielo si attribuiva per l'abbondanza della lana"; del 1656 è il dizionario dei sinonimi di Francesco Serra, dove si dice che "i nomi del formaggio derivano dai luoghi dove lo si produce migliore; come il Parmigiano, che prende nome dal luogo e dalla bontà" (e cioè dal luogo in cui è veramente buono). Ma può colpire di più , come curiosità, la pagina in cui l'allora celebre Cristoforo di Messisbugo descrive - in un suo ricettario - la "cena privata" da lui fatta preparare in casa sua il 17 gennaio 1543. Era una cenetta tra amici, si direbbe oggi, con 20 persone appena e priva di pretese (sottolinea messer Cristoforo: "senza vitello e senza capponi") eppure "le frutte e confettioni", cioè il dessert, comprendevano "piatti 6 di formaggio Parmigiano" oltre a tutto il resto. Da notare la raffinatezza di servire il Parmigiano-Reggiano con uva fresca e pere: questo formaggio con la frutta (non solo le pere e l'uva, ma anche le mele, le pesche, le noci, i fichi, il kiwi, ecc.) viene riscoperto anche oggi come fine pranzo o come un dessert da buongustai.

Tra le testimonianze più curiose sono molte quelle indirette, come quella, ad esempio, riferita da vari biografi di Molière: il grande commediografo in tarda età si nutriva soprattutto di Parmigiano. Era quindi già in consonanza con i precetti della dietologia moderna che raccomanda questo formaggio anche ai bambini e agli anziani per il suo altissimo potere nutritivo, per la sua digeribilità e per la specialissima ricchezza in calcio e fosforo facilmente assimilabili. Ma le testimonianze più dirette sono quelle che si rinvengono manoscritte negli archivi di Reggio Emilia, di Parma, ed, in particolare, nei registri delle merci esportate ove si parla di partite di Parmigiano-Reggiano dirette in tutta l'Europa civile. Sarebbero molti gli episodi da citare; uno fra tutti, un brano di una lettera dal "Carteggio degli Anziani di Reggio Emilia", datata 21 gennaio 1536. Questi signori , raccogliendo le lamentele di "A. Patacino, nostro cittadino", esprimono una garbata protesta perchè "adducendo" Parmigiano-Reggiano a Venezia, "lo astringono a pagare il datio".

Con il suo curioso sapore di attualità questa missiva merita di chiudere questa piccola scelta di citazioni. Ovviamente anche la storia recente del Parmigiano-Reggiano ha i suoi capitoli importanti; è, in sostanza la storia di come i circa 600 piccoli caseifici artigianali della zona tipica (che rappresentano circa novemila agricoltori produttori di latte) abbiano ottenuto dalla legge il riconoscimento della loro determinazione di conservare inalterato il metodo di lavorazione e l'altissimo livello qualitativo del prodotto; è la storia di come la garanzia di genuinità del Parmigiano-Reggiano sia oggi assoluta, in forza di norme precise, applicate con rigida autodisciplina di conformità e con rigoroso controllo. Ma non occorre raccontarla: i fatti parlano da soli, come appare nelle pagine che seguono, che illustrano la situazione di certificazione del processo produttivo presente, degno di un passato tanto nobile e antico.

Nel Parmigiano-Reggiano c'è una vera e propria concentrazione di sostanze nutritive, perchè un chilo di formaggio si ottiene da ben sedici litri del pregiatissimo latte della zona tipica, eccezionale per tenore di proteine e vitamine, per ricchezza di calcio e di fosforo. Il latte è, in se stesso, alimento completo di digeribilità relativamente facile, perchè contiene sostanze semplici ed essenziali di facile assimilazione da parte dell'organismo. Questa carica nutritiva si concentra nella pasta del Parmigiano-Reggiano e, nel lunghissimo periodo di invecchiamento naturale, resta viva, in un processo che ne esalta i suoi pregi organolettici e sviluppa contemporaneamente i caratteri che la renderanno ancora più facilmente assimilabile. L'affinamento è assolutamente naturale, non forzato da sostanze estranee o da alterazioni della temperatura ambiente; e questo è uno dei segreti che danno al Parmigiano-Reggiano, in grado eccellente, i tre pregi di cui si parlava: conservazione di un altissimo potere nutritivo, sapore inimitabile, facile digeribilità. Dai molti studi e ricerche, che sono stati compiuti in epoche diverse e che si sono recentemente moltiplicati, si può indicare - in sintesi - quale è il contenuto nutritivo medio del Parmigiano-Reggiano. Il 36,14% è costituito da sostanze proteiche; un indice questo superiore a quello di qualunque altro formaggio. Il suo contenuto medio in lipidi è basso, appena il 28,3%, mentre valori molto alti si registrano per il calcio (1,30%) e per il fosforo (0,70%). Le vitamine sono presenti in quantità eccezionalmente varia ed equilibrata. Il valore in calorie è di 392 per etto. In sintesi: un' altissima quota di elementi proteici e lipidi nobili, una concentrazione straordinaria di vitamine e sali minerali.

Pizza di Pasqua viterbese

Dolce pasquale tipico dell'alto Lazio.Già a Roma non si trova e non sanno cos'è
Vi posto la ricetta così come è, non sono in grado di cucinarla e pochi sono in grado di rifarla. Di solito la compra al forno, preferibilmete di Bagnaia.
L'odore è inconfondibile, e mi basta sentirlo per "fare" Pasqua. Costa pure uno sproposito, se paragnata alle Colombe (puah!) cira 8 euro kg

Ingredienti:
farina kg.4,uova 24,zuccherokg.1.600,strutto (o burro o olio ) gr.300,liquori misti da dolci cc.200,cannella 3 bustine,vaniglia 2 bustine,buccia gratuggiata di una limone,buccia gratuggiata di una arancia,lievito di birra gr 200

si scioglie il lievito di birra in acqua tiepida e si aggiunge poi poco a poco un chilogrammo di farina fino a formare una palla morbida,tipo pastella,che va messa a lievitare per alcune ore (circa 12).a lievitazione avvenuta,dentro un recipientedi "coccio" o sulla spianatoia quandosi tratta di dosi ridotte,si incorporano,a questa pasta lievitata,tutti gli altri ingredienti(esclusi i liquori) impastando a mano fino ad arrivare dopo alcune ore di faticosa lavorazione,alla formazione di una grossa massa di pasta omogenea di consistenza simile alla pasta di pane.i liquori vanno aggiunti con molta cautela,facendoli cioè scorrere in piccole quantità luogo il recipiente e mettondoli a contatto con l'impasto sempre potetto da uno starto esterno di farina per evitarela cosidetta "cottura della pasta".si preparano allora i vari tegami di rame o di alluminio ungendoli internamente con lo strutto e vi si devone all'interno una quantità di pasta tale da raggiungere la metà dell'altezza dello stampo.si lasciano quindi lievitare per alcune ore in un ambiente tiepido,a temperatura costante(una volta si usava la madia)fino a quando la pasta non raggiunge il bordo superiore del recipiente.si unge infine lo starto superiore con un penellino imbevuto di uova sbattute e si mette in forno.è superfluo precisare che per una perfetta cttura il forno dovrebbe essere del vecchi stampo tipo a legna.all'inteno di questo,durante la cotture,si avrà un ulteriore accrescimento della psta che supererà così il bordo dello stampo facendo assumenre alla pizza carettetistico aspetto a fungo con il cappello di un colore marrone lucido.

LA dose è enorme, ma le vecchie "comari" di Bagnaia usano farne tante per poi regalarle. Comunque la ricetta varia un po' da famigia a famiglia.

Caciocavallo Di Agnone

Area di produzione: Comprensorio dell'Alto Molise, particolarmente nei comuni di Agnone (IS), Capracotta (IS) e Vastogirardi (IS).

Caratteristiche: Altezza cm 18-28, diametro cm 16-22, peso Kg 1,5-3, ha la forma di una grossa pera con una crosta dura e sottile, variegato di muffe se stagionato a lungo. L'odore è forte, sapore dolce e pastoso quando è poco stagionato, fino a diventare, con l'andare della stagionatura, sempre più intenso e piccante.

Materie Prime: latte di razze bovine locali fatte pascolare e alimentate con foraggi integrati da mangime aziendale, caglio e sale da cucina. Lavorazione: L'antica tradizione di elaborazione del latte vaccino prevede che il latte sia coagulato alla temperatura di 36-38 °C usando caglio di vitello o capretto. Quando la cagliata ha raggiunto la consistenza ottimale, bisogna romperla fino a che i grumi abbiano le dimensioni di chicchi di mais. A questo punto, dal fondo del tino di coagulazione, si estrae il siero: una parte di esso è scaldata a 65 °C e versata sulla cagliata che, in questo modo, ha una cottura parziale. La pasta resta immersa nel siero fino a quando è nelle condizioni di essere filata, quindi viene fatta sgrondare dal siero e tagliata a fette. La filatura viene fatta a mano, in acqua a circa 80-90 °C; la pasta quindi si comprime così da avere la superficie esterna liscia e quella interna piena.
La pasta viene quindi modellata nella classica forma di pera con una testa sopra. Le forme vengono immerse prima in acqua di raffreddamento e poi in salamoia. La salatura è effettuata in salamoia e varia a seconda del peso: 24 ore/Kg.

Periodo di produzione Tutto l'anno, ma è particolarmente apprezzata la produzione primaverile, quando le bovine pascolano sui prati di montagna.

Materiali e attrezzature per la preparazione: Caldaia in rame stagnato, mastello di legno, tavolo in legno o in acciaio, pertiche in legno o in acciaio.

Lavorazione, conservazione e stagionatura: Fatta in un ambiente fresco ed aerato. Le forme vengono legate a coppie e appese ad asciugare. Il tempo minimo di stagionatura è di 2 mesi.

Aspetti igienico-sanitari: Il latte crudo utilizzato è ottenuto da bovine indenni da Brucellosi e Tubercolosi. Importante è il ruolo della flora nativa e l'aggiunta di siero-innesto che permette di selezionare e rafforzare la componente della flora lattica positiva, ottenendo un prodotto con caratteristiche particolari e una varietà di gusti che rendono il Caciocavallo di Agnone particolarmente apprezzato
Poichè l'acidificazione della cagliata, la semicottura e il processo di filatura sono fatti in acqua ad alta temperatura (90° C) c'è un ulteriore abbattimento della flora microbica e, quindi, un prodotto più sano.

Carpaccio di asparagi

Ingredienti:

asparagi bianchi freschi, devono essere teneri e croccanti
olio extravergine d'oliva
aceto balsamico
parmigiano reggiano

Preparazione:

lavate gli asparagi e privateli del pezzo più legnoso, alla base. Con uno spelapatate togliete il primo strato sempre alla base dell'asparago, a partire circa dalla metà fino in fondo, come se doveste sbucciarlo.
Tagliate gli asparagi a fettine sottilissime, in senso trasversale, con.... come si chiama? quella lama per affettare.... meglio se le tagliate un po' in obliquo.
Disponete le fettine su un piatto da portata, irroratele con qualche goccia di aceto balsamico e dell'olio extravergine d'oliva (non troppo), cospargetele poi con scaglie sottili di parmigiano.

Si mangiano crudi? Ebbene sì. E sono spettacolari.

Sella di Capriolo al Barolo

Innanzitutto va detto che la "sella" è quella parte dorsale dell'animale che va dalle ultime costole fino all'anca.

Prendere un pezzo di sella di circa 2 kilogrammi di peso.
Farla marinare per una nottata in acqua, aceto e 4/5 foglie di alloro, accertandosi che la sella sia completamente sommersa.
Il giorno dopo, in un capiente tegame, mettere olio e un bel trito di cipolla, aglio, carota e sedano, ed insieme a 3/4 bacche di ginepro farlo dorare sul fuoco.
Intanto togliere la sella dal liquido, asciugarla bene, passarla nella farina e metterla nel tegame rosolandola bene da ogni lato.
Quando sarà uniformemente rosolata, versare una bottiglia di Barolo da 750cc (non occorre che sia particolarmente pregiata, ma che sia un Barolo di buona qualità) e far cuocere coperta a fuoco dolce per almeno 2 ore, girandola di tanto in tanto.
Quando la carne sarà tenera alla penetrazione della forchetta, toglierla.
Filtrare il sugo di cottura e, se è il caso, rimetterlo sul fuoco per farlo addensare finquando diventi non più liquido, ma quasi cremoso.
Prima di servire la sella, riscaldarla nel sugo di Barolo, affettarla, impiattarla e ricoprirla con il sugo stesso.

Buon appetito.

Ovette di Quaglia in salsa cipollina

Le ovette le trovate in qualunque buon supermercato (COOP ad esempio).
in una padella antiaderente, con il fondo uniformemente oliato (ma senza che l'olio ci sia) gettate le ovette sgusciate, come se voleste fare le uova al tegamino.
Appena cotte impiattarle e versarvi su la salsa cipollina ben calda.

Salsa cipollina.
30 grammi di burro
1 dl. di vino bianco secco
1 dl. di panna da cucina
50 grammi di erba cipollina
sale q.b.
pepe bianco appena macinato q.b.

Lavare l'erba cipollina e scottarla per un paio di minuti in acqua salata in ebollizione; scolarla e tagliarla a pezzettini.
Metterla in un tegamino con la panna e farla cuocere, mescolando, finché il liquido sarà ridotto della metà.
Aggiungere il vino preriscaldato e continuare a tenere sul fuoco, mescolando, finché assuma un aspetto cremoso.
A cottura ultimata mettere il tutto in un frullatore ed omogenizzare per qualche minuto.
Aggiungere il sale ed il pepe.
Prima di utilizzarla riscaldarla in un tegamino insieme al burro.

Buon appetito

Tagliolini alle punte di asparagi e pomodorino

Piatto semplicissimo.
Importante le punte di asparagi abbiano lo stesso peso dei pomodorini.

Dorare 3/4 spicchi di aglio in una capiente padella con olio q.b., quindi eliminarli.
Versare i pomodorini dissemati e farli appassire.
Versare le punte di asparagi tagliate a tocchetti da 1 centimetro e salare.
Lasciar cuocere aggiungendo di tanto in tanto un po' d'acqua, finché gli asparagi siano cotti.
A parte lessare i tagliolini all'uovo (io uso "Emiliane Barilla"); a metà cottura scolarli e versarli nella padella in cui avrete aggiunto un po' d'acqua di cottura, e lì completare la cottura.

Buon appetito.

Polpo all'insalata

Il problema del polpo sta nella carne molto fibrosa, quindi difficile da rendere tenera con la sola bollitura.
Ocorre perciò sfibrarla prima della cottura.
Il metodo classico usato dai nostri nonni era quello di sbattere più e più volte il polpo su di una pietra (metodo ancora oggi usato in Puglia con i polipetti, per poterli mangiare crudi appena pescati), oppure di porlo su di un tavolaccio di legno e batterlo più e più volte con una mazzuola, quindi lessarlo.

Io vi indico un metodo più moderno, ma efficacissimo.

1 - Il polpo deve essere acquistato fresco. Senza questa premessa qualunque discorso sul polpo all'insalata possiamo chiuderlo qui.
Deve pesare non meno di 1 Kg, non più di 2.
2 - Dopo averlo accuratamente pulito, congelate il polpo nel freezer normale che avete nella parte alta del frigorifero.
[Qui occorre fare una precisazione, che sicuramente saprete, ma che nel nostro caso è determinante: con la surgelazione si abbatte la temperatura del prodotto a -18° in pochi minuti; la congelazione, invece, è un processo molto più lento che raggiunge temperature molto superiori.
Nel processo di surgelazione (molto rapido) l'acqua contenuta nel prodotto forma cristalli di ghiaccio molto piccoli, che difficilmente rompono le cellule.
Nel processo di congelazione (molto lento) si formano macrocristalli che vanno a rompere le cellule e i legami fra cellule.]

Per il nostro polpo sarà necessaria la congelazione, dimodoché i macrocristalli di ghiaccio sfibrino i tessuti del polpo che in cottura diventeranno teneri molto più velocemente.
Diciamo che lo avete messo a congelare la sera, al mattino dopo potete metterlo a scongelare.
In una pentola capiente mettete a bollire abbondante acqua, moderatamente salata, con un mezzo limone (intero, non premuto).
Prendete il polpo, infilategli nella cavità della "testa" (che poi sarebbe lo stomaco) un forchettone, in modo da poterlo reggere tutto con il forchettone stesso.
Appena l'acqua è a bollore, a mezzo forchettone, immergete interamente il polpo nell'acqua, contate cinque secondi, quindi ritiratelo fuori; ripetete l'operazione 4 o 5 volte (vedrete che i tentacoli si arricciano), quindi lasciatelo a lessare per il "tempo necessario".
Ora la questione delicata è "il tempo necessario", che dipende innanzitutto dalle dimensioni del polpo.
Non esiste un'indicazione che io vi possa dare, l'unica e pungerlo con una forchetta nella parte alta e più spessa dei tentacoli, finché lo sentite tenero (ma assolutamente non molle).
Tenete presente che se la pelle comincia a staccarsi e ad apparire molliccia, il punto di cottura è già stato abbondantemente superato.
Un polpo ben cotto (nel senso di cotto bene) dovrà avere pelle e ventose perfettamente aderenti ai tentacoli, anche dopo essere stato tagliato a fettine.
- Una volta cotto la testa (stomaco) deve essere tagliata prima in due longitudinalmente (per il lungo), poi ciascuna metà tagliata latitudinalmente (per il largo) in 3 o 4 striscioline, a seconda delle dimensioni.
- Gli 8 tentacoli vanno accuratamente separati l'uno dall'altro, quindi tagliati in questo modo: le punte di 2,5 centimetri, poi, salendo di spessore, un paio di pezzetti da 3 ventose, quindi fettine da 1 ventosa ciascuna.
- Una volta inserito il tutto nella zuppiera, irrorare con 4 o 5 cucchiai del brodo che il polpo ha prodotto, olio quanto basta, una macinatina di pepe bianco fresco, limone a piacere.

Buon appetito.

Risotto alla Guinness

Ingredienti (per 4 persone): 400g di riso, 33cl di Guinness Draught (assolutamente non la Export, la DRAUGHT!), 3 cucchiai di panna, 50g di burro, cipolla, brodo vegetale, 30g di parmigiano, prezzemolo

Preparazione:

- soffriggere la cipolla in metà burro (25g)

- una volta dorata la cipolla, aggiungere il riso

- bagnare con metà birra e aspettare che sia evaporata, mescolando il tutto

- aggiungere la rimanente birra e farla assorbire



- continuare la cottura aggiungendo il brodo quando necessario

- cotto il riso, togliere dal fuoco e aggiungere il prezzemolo

- mantecare con la panna, il parmigiano e il burro rimasto (25g)

- servire in tavola! :)

Insalata d'indivia belga con mele

Ingredienti:

4 cespi d'indivia belga
2 mele golden (gialle)
un cucchiaio di aceto di mele
mezzo cucchiaino di senape
olio extravergine d'oliva
sale

le dosi possono essere modificate a piacere

Preparazione:

Lavare l'indivia belga, privarla delle foglie più esterne e di una fettina alla base.
Tagliare l'indivia a rondelle dello spessore di 4-6 mm.
Sbucciare le mele, tagliarle a spicchi e successivamente, trasversalmente allo spicchio, a fettine di circa 4 mm. di spessore.
Mescolare mele e indivia in una terrina.
A parte sciogliere il sale e la senape nell'aceto di mele, aggiungere il tutto nella terrina, irrorare d'olio extravergine d'oliva e mescolare bene.
E' più buona se preparata (e mescolata) un'ora prima di essere servita.

Guacamole

Dite la verità, non vedete l'ora di assaggiare una salsa verde piena di tocchetti e che non sia vomitosa :)

Allora prendete:

1 Lime (o meno limone)
1 avocado
del sale grosso
un pomodoro
un peperone jalapeno (lo so, è diffficile da trovare, facciamo così, prendete un peperone normale e io guardo dall'altra parte)
della cipolla (tagliatela e piangete al pensiero del jalapeno non trovato)

Prendete l'avocado (*) e sbucciatelo come un mandarino.
Fatto?
Bravi, io non ce la faccio mai, lo taglio in due e lo sbuccio col pelapatate.

Mettete in una zuppiera qualche grano di sale grosso, tagliate l'avocado a pezzettoni, unitelo al sale e con il dorso della forchetta spappolatelo. Non usate il tritatutto, va spappolato, non tritato.

Una volta spappolato l'avocado aggiungete il succo di mezzo lime e mischiate bene, l'avocado tende ad ossidarsi velocemente.
Aggiungete un quarto di cipolla a dadini piccoli e rimischiate.
Aggiungete equivalente quantità di peperone e trimischiate.

Coprite il quasi guacamole a tenuta il più possibile ermetica con della pellicola e mettete in frigo per mezz'ora.

A questo punto avete mezz'ora per preparare il resto della cena, visto che mangiare solo guacamole stomega un po'.

Dopo mezz'ora al momento di gustare la salsa (Cuba, parararappappà, quiero gustar la salsa...) prendete mezzo pomodoro, fatelo a tocchetti e mettetelo nel preparato che si trasformerà in guacamole. (Non si mette prima perché perde acqua e annacqua la salsa)

Alcuni aggiungono anche del cumino e coriandolo, io la tengo semplice.

(*)Come scegliere l'avocado.

Il segreto per vedere se l'avocado è maturo è quello di premerlo col pollice.
Se cede leggermente ma ritorna in posizione è al punto giusto
Se non cede è troppo acerbo
Se cede ma rimane deformato è troppo maturo.

Insalata mista con yogurt e noci

Ingredienti:

due vasetti di yogurth naturale NON DOLCIFICATO (magro o intero a seconda dei gusti)
tre cucchiaini di senape
un pizzico di sale
olio extravergine d'oliva a piacere
aceto balsamico (circa un cucchiaio)
qualche noce (6-10)

valeriana (songino)

[caption id="" align="alignright" width="208" caption="Valeriana (songino)"]Valeriana (songino)[/caption]

due carote
qualche ravanello
pomodorini ciliegini (ma anche il pomodoro tondo "classico" va bene)
due cetrioli
un cuore di sedano

Preparazione:

Preparare un'insalata mista con la valeriana, le carote grattugiate "a julienne", ravanelli e cetrioli tagliati a fettine, pomodorini a metà, sedano a rondelle.
Condire l'insalata con sale, aceto e olio. Mescolare.
A parte, sgusciare e pestare grossolanamente le noci (possibilmente in un mortaio).
Mescolare lo yogurth con la senape, aggiungere le noci.
Versare lo yogurth-senape-noci nell'insalata e mescolare ancora.

Naturalmente, come tutte le insalate miste, si presta a varianti che la fantasia vi suggerisce.
Come al solito le mie dosi sono approssimative, e me ne scuso.

Avocados con gamberetti

Ingredienti:

avocados ben maturi (la polpa dev'essere morbida, burrosa)
gamberetti sgusciati precedentemente sbollentati
succo di limone
maionese (decisamente meglio se fatta in casa)

Procedimento:

Lavare gli avocados e tagliarli a metà nel senso della lunghezza, privandoli del grosso seme e lasciando la buccia.
Irrorare con il succo del limone la superficie della polpa affinché non annerisca.
Riempire ogni mezzo avocado con un cucchiaio di gamberetti mescolati con la maionese.
Si mangia fresco, direttamente dall'avocado con un cucchiaino.

Nota: Solitamente gli avocados migliori sono quelli a buccia scura, dalle mie parti più difficilmente reperibili. I più diffusi, da noi, sono quelli verdi, meno buoni.

Lingua bollita

Ingredienti
Una lingua di vitello
odori
sale

Mettere l'acqua nella pentola, aggiungete gli odori (sedano, cipolla, carota, ma c'è chi ci aggiunge anche il prezzemolo) e la lingua.
L'acqua deve coprire abbondantemente il tutto, perchè parecchia tenderà ad evaporare.
Salate il tutto.
Fate cuocere a fuoco moderato per 75 minuti (dipende dalla grandezza della lingua, eventualmente tastatela con una forchetta per saggiarne la durezza:se la sentite troppo dura allora lasciatela ancora 10 minuti).
Una volta spento fatela freddare perchè bisogna "spellare" la lingua, ossia toglierle la parte con le papille gustative che è dura e stoppacciosa. Per farlo però occorre che la linguia si sia freddata. La pelle verrà via come un guanto:all'occorrenza, se l'operazione non vi riesce, ci si può aiutare con un coltello ben affilato.
Volià, la lingua è pronta.
Lasciatela nel suo brodo, si conserverà al meglio e potrà essere riscaldata se la vorrete servire tepida (io la preferisco così).
Altrimenti si può poi servire fredda.
Di solito si accompagna con una salsa verde, ma la preferisco al naturale, con solo un goccio d'olio. Il massimo(per me) è accompagnarla con l'insalatina e l'aceto balsamico.

Murianengo

Produzione veramente limitata per questa perla casearia della Val di Susa; tanto limitata che il formaggio, ogni anno, ad ottobre, viene messo all’asta. Solo due casari producono ogni anno, rigorosamente in alpeggio, una cinquantina di forme.

I pochi che avranno la fortuna di assaggiarlo noteranno una certa somiglianza con un Castelmagno stagionato con cui il Murianengo ha in comune una diffusa erborinatura (dopo almeno 4 mesi di stagionatura); per ottenerla è necessario, in fase di produzione, rompere e pressare la cagliata.

Un Murianengo stagionato si sposa alla grande con un vino rosso di gran corpo, morbido, non troppo tannico e con una certa acidità per stemperare l’elevata grassezza del formaggio.
Per rimanere in zona: Barbera d’Alba Marun di Correggia.
Oppure anche un Chianti o un Montepulciano.

Consiglio comunque il suo utilizzo in risotti o affiancato alla polenta.

Cozze gratinate al forno

Si prende la cozza e si toglie la conchiglia cui il mitile non è attaccata.

Si prepara un impasto di:

pan grattato
parmigiano
prezzemolo
aglio
olio

L'olio serve per amalgamare il tutto e va usato con parsimonia (non si deve creare una crema ma un composto appena umido).

Si prende parte dell'impasto e lo si mette sopra la cozza, senza esagerare nella quantità.
Diciamo che, in base ai gusti, può riempire interamente il guscio al cui interno c'è la cozza, oppure ricoprire solo parzialmente il mitile.
(http://img18.imageshack.us/img18/9100/cozzegratinate984...9.jpg) (http://img15.imageshack.us/img15/1286/cozzegratinate989...3.jpg)

Dopo che si è riempita una teglia di cozze, la si mette in forno a 230° per 5 minuti, o fintanto che non si vede che il pangrattato è leggermente dorata.

A risultato ottenuto, si toglie dal forno, si mette su un piatto di portata e... si pappa.
:)

Trota alla mollica saporita

per 2 persone

2 trote

150 g di pan carré

1 dl di vino bianco

3 dl di olio d'oliva extravergine

farina 00

aglio, prezzemolo, alloro, maggiorana, timo, salvia, rosmarino
(importante!)

Preparazione

Prendete le trote e... pulitele, lavatele, sbudellatele, decapitatele e sfilettatele!

A seconda del vostro grado di perizia e cattiveria avrete cosi' ottenuto una discreta quantita' di filetti di trota.
Prendete i filetti scampati al massacro e passateli nella farina, e lasciateli li, che vi siete
dimenticati di preparere la pentola con un filo d'olio per rosolarli.

Una volta rimediato alla vostra dimenticanza tutti contenti... lasciate i filetti dove stanno che c'e' da preparare la mollica.

Prendete il pan carre' e passatelo nel tritatutto (non tutto insieme, quanto ci sta... ma tutto alla fine).
Versate la mollica in una basia ed aggiungetevi in parti uguali le spezie (l'aglio spremuto con lo
spremiaglio che ogni bravo cuoco ha nel suo casssetto). La quantità? a naso, che non sia troppo saporito.

Sempreche' il gatto non vi abbia mangiato i filetti prendeteli e metteteli più in alto che sennò fanno una brutta fine e dovete ordinare della pizza e non fa la stessa figura.

Prendete una teglia da forno e oliatela con l'olio rimasto, e accendete il forno, a 180 C.
Mentre il forno si scalda e' giunta l'ora dei filetti... rosolateli da entrambe le parti, leggermente, senza cuocerli troppo e metteteli nella teglia.

Se non vi siete bevuti tutto il vino (lo so, in cucina fa caldo, è comprensibile...) aggiungetelo alla mollica aromatizzata e mescolate per bene.

Ricoprite i filetti con la mollica così avvinazzata e infornate a completare la cottura.

Io ce li ho tenuti una mezz'oretta, alzando a 200 C gli ultimi 5 minuti per far dorare la mollica, ma YMMV...

Servire caldo con contorno di patate lessate al rosmarino che avrete sicuramente preparato senza che io ve lo dovessi ricordare!

Buon Appetito!

Carote sott'aceto

ingredienti per 2 vasi grandi e 1 piccolo: 1kg di carote, semi di cumino, un ciuffo di basilico e prezzemolo, 1 litro di aceto di vino bianco, sale, pepe in grani

preparazione:

- lavare le carote e tagliarle a bastoncini nel senso della lunghezza



Carote 1

- sbollentare le carote per un minuto in acqua salata



- sgocciolarle e aciugarle con cura su un canovaccio pulito



- mondare il basilico e il prezzemolo



- distribuire le carote nei vasi aromatizzando con semi di cumino, pepe, basilico e prezzemolo



- ricoprire di aceto bianco fatto prima bollire per un paio di minuti e intiepidito

- chiudere ermeticamente a raffreddamento completo del contenuto

Polpettine di mangusta galerella in ragù di Koala

Ricetta di derivazione indiana riadattata secondo i canoni italiani.

Prendere una mangusta femmina di massimo 1 anno (sono più tenere in quanto fanno meno moto rispetto ai maschi), farle un'incisione alla carotide ed appenderla per le zampe posteriori su di un lavandino a su un catino, in modo da eliminare tutto il sangue che altrimenti darebbe alla carne un sapore piuttosto acidulo, poiché è un carnivoro.
Staccare le quattro zampe, che non trovano utilizzo, dopodiché con un coltellino molto affilato praticare un'incisione nella pelle lungo tutto il contorno del collo.
Prendere un lembo di pelle e, tenendolo ben saldo tirare con forza verso il basso, in modo da scuoiare l'animale in un colpo solo.
Eliminare anche la testa.
A questo punto eviscerarlo e lavarlo ben bene sotto l'acqua corrente in modo da levar via ogni residuo di sangue.
Porlo in una capace pirofila e coprirlo completamente con acqua e aceto (in rapporto 1 a 1) , avendo cura di inserire 3 o 4 bacche di ginepro che contribuiranno a togliere il sentore di selvatico.
Lasciare a macerare per 24 ore.

Prendere un Koala giovane che non abbia superato i 3 o 4 chili di peso staccare la testa, che non trova utilizzo, scuoiarlo con il metodo già spiegato, eviscerarlo, conservandone fegato e cuore e lavarlo sotto acqua corrente.
Farlo a pezzi secondo questo schema:
2 zampe anteriori comprese di sopracoscia, 2 zampe posteriori, 2 sopracoscia posteriori
2 mezzicorpi che provvederete a spaccare ciascuno in 3 parti più o meno uguali (complessivamente dovranno risultare 12 pezzi).
Mettere i pezzi in una pirofila capiente e ricoprirli completamente con un buon vino rosso corposo tipo Barbera, ed aggiungete un bel trito di cipolla carota, sedano ed un paio di foglie di alloro.
Lasciate macerare per 24 ore.

Il giorno dopo prendete la mangusta, sciacquatela e lessatela in acqua per circa 30 minuti, dopodiché toglietela dal brodo (che conserverete) e, con un po di pazienza, disossatela completamente.
Tutta la carne che ne otterrete passatela un paio di volte al tritacarne, dopodiché mischiatela con 2 uova, del parmigiano grattugiato, un cucchiaino di cumino, un cucchiaino di sale e un po' di pepe secondo gusto.
Fatene delle polpette grandi come un uovo e friggetele giusto per il tempo che si crei la crosticina esterna.

Prendete i pezzi di Koala, asciugateli con un panno e passateli nella farina.
Filtrate il vino in un passino e mettete il trito di ortaggi in una capiente casseruola con olio abbondante e fate appassire, dopodiché inserite i pezzi di koala, il cuore e il fegato e fateli ben bene rosolare da ogni lato.
Quando avranno acquistato quel bel colore dorato, aggiungete, un po' alla volta il vino che avevate filtrato e fatelo sfumare.
A questo punto aggiungete della passata di pomodoro (un chilo e mezzo dovrebbe bastare)e fate cuocere a fuoco lento per sei - otto ore.
Man mano che il sugo si asciugherà aggiungete qualche ramaiolo di brodo di mangusta, fino a cottura completa.
Una mezz'oretta prima che la cottura sia ultimata, aggiungete le polpettine di mangusta.
Solo a questo punto assaggiate ed eventualmente regolate di sale.
Quando impiatterete abbiate cura di mettere un pezzo di koala ed un paio di polpettine di mangusta, versandovi sopra una decina di gocce di Angostura.

Buon appetito.

Il Bagòss

Il Bagòss è un formaggio la cui zona di produzione tipica è il comune di Bagolino, in provincia di Brescia, è denominato anche grana bresciano. È un formaggio a forma circolare e sulle scorze è inciso il nome di questo formaggio.

Notizie generali

Bagossi è il nome degli abitanti di Bagolino, piccolo comune dell'alto Bresciano, in Valle del Caffaro. Di qui nasce il nome del formaggio che si produce in quella valle. Un formaggio a pasta cruda e da latte parzialmente scremato, che in quest'area alpina assume caratteristiche assolutamente originali. La pezzatura è più grande di quella delle tome di montagna: pesa solitamente 16-18 chilogrammi, ma alcuni Bagòss arrivano anche a 20-22 chilogrammi. Si fa con il latte crudo di vacca (Bruno-Alpina): seguendo un'antichissima tradizione, durante la fase di rottura della cagliata i casari aggiungono un cucchiaino di zafferano. Stagiona a lungo: il disciplinare prevede almeno 12 mesi, ma la media è più alta (24 o 36 mesi). Durante l'affinamento la crosta è unta con olio di lino crudo, che le conferisce una tipica colorazione bruno-ocra. Formaggio nobilissimo, è affettuosamente chiamato dai locali il "grana dei poveri". In effetti, quando è ben stagionato, si presta alla grattugia: ma il Bagòss è soprattutto uno straordinario formaggio da tavola. I produttori di tale formaggio usano il fuoco a legna e grandi pentoloni di rame. D'estate caseificano in alpeggio, d'inverno un disciplinare rigoroso prevede di alimentare gli animali soltanto con fienagione locale.

Il formaggio in questione è abbastanza carolotto, è poco diffuso e 24 mesi di stagionatura (il minimo perché sia buono :) fanno il costo, diciamo che si trova sui 30-40 € al chilo nei supermercati, magari andando a Bagolino si trova a meno...
Nella mia zona è diventato di moda, molti propongono ravioli al bagoss, risotto al bagoss...
Io continuo a considerarlo un formaggio da tavola.
Vale decisamente la pena:)

Miglio ai funghi

Ingredienti:

30 - 50 gr. di funghi secchi (o in alternativa funghi freschi curati, lavati e tagliati a fettine)
miglio decorticato (nella misura di un bicchiere per persona, circa, anche un po' meno)
3 cucchiai di olio extravergine d'oliva
1/2 l. di brodo vegetale salato
un bicchiere di vino bianco
uno spicchio d'aglio
prezzemolo fresco tritato
una noce di burro

(le quantità potrebbero essere imprecise, io vado molto ad occhio)

Preparazione:

Mettete i funghi secchi in ammollo in acqua tiepida per qualche ora.
In una pentola antiaderente fate rosolare leggermente lo spicchio d'aglio tritato (o schiacciato) con l'olio extravergine d'oliva, aggiungete i funghi. Se i funghi sono freschi lasciateli cuocere per un po' a fuoco vivo, mescolando spesso, fino a che non saranno appassiti. Se i funghi sono secchi, privateli dell'acqua d'ammollo (che conserverete) e passateli velocemente in pentola per asciugarli un po'.
Aggiungete il miglio precedentemente risciacquato e, sempre mescolando energicamente sulla fiamma vivace, fatelo tostare per un paio di minuti. Aggiungete poi il vino bianco, lasciando che l'alcol evapori.
Infine aggiungete gradualmente il brodo vegetale caldissimo: ne dovete mettere un paio di mestoli per volta, e lasciare che si assorba di volta in volta, mescolando spesso e mantenendo la fiamma bassa (il procedimento è lo stesso della preparazione del risotto).
Se il brodo non dovesse bastare, aggiungere anche l'acqua di ammollo dei funghi (se secchi) o dell'acqua bollente. Il miglio e i funghi devono cuocersi perfettamente.
Quando saranno cotti, aggiungere il prezzemolo crudo, tritato fine, e lasciar asciugare un po' mescolando continuamente ed alzando un po' la fiamma.
Spegnare il fuoco ed aggiungere la noce di burro a crudo, mescolando il tutto.

Può essere servito con parmigiano grattugiato.

Latte dolce fritto

1 lt. di latte
150 gr. di farina
100 gr. di zucchero
6 uova
1 limone
olio
pane grattugiato
zucchero a velo

Sbattere lo zucchero con 4 uova intere e 2 tuorli, unire il latte, la farina e la buccia grattugiata del limone. Cuocere per circa un'ora sempre rimescolando. Quando la pasta si staccherà dalla pentola versarla su piatti unti con un pò d'olio, livellando ad uno spessore di circa tre centimetri. Lasciar raffreddare, quindi tagliare a rombi di 5 centimetri di lato. Passarli nel bianco d'uovo sbattuto e nel pane grattugiato. Friggerli in olio bollente.
Posarli su carta straccia per asciugarli dall'olio superfluo e spolverizzarli con lo zucchero a velo.
Mangiarli... :DDD

Spaghetti a vongole

1° metodo (valido anche per cozze o frutti di mare assortiti)

Inserire le vongole in un tegame con coperchio e metterle su fuoco vivace, girandole con un mestolo in modo che quelle di sopra finiscano sotto e viceversa.
Dopo pochi minuti saranno aperte.
Toglierle dal tegame, sgusciarle e metterle da parte.
Filtrare il brodetto.
In una padella (sufficientemente ampia per poi saltarci gli spaghetti) rosolare un paio di spicchi d'aglio (schiacciati a mano) nell'olio, quindi eliminarli.
Inserire dei pomodorini vesuviani dissemati (o in alternativa dei ciliegini siciliani) e lasciarli cuocere per una decina di minuti.
Dopodiché versarvi il brodetto delle vongole e farlo un po' asciugare.
Solo a questo punto provare ed eventualmente aggiustare di sale.
Lessare degli spaghetti sottili (es. Barilla n° 5) in abbondante acqua salata; quando saranno cotti, scolarli e, dopo aver aggiunto le vongole al sugo, saltarli nella padella per una ventina di secondi.
Impiattarli e cospargerli con una spruzzata di prezzemolo fresco finemente tritato.

2° metodo (valido esclusivamente per le vongole)

In una padella (sufficientemente ampia per poi saltarci gli spaghetti) rosolare un paio di spicchi d'aglio (schiacciati a mano) nell'olio, quindi eliminarli.
Inserire le vongole e, sempre tenendo sul fuoco, farle aprire man mano.
Se qualcuna non volesse aprirsi, mettetela in un piatto e apritela con un coltello, facendo molta attenzione perché potrebbe contenere sabbia.
Quando tutte saranno aperte, versate un mezzo bicchiere di vino bianco e fatelo sfumare.
Se volete potete mettere dei pomodorini dissemati, altrimenti è pronto così e vi salterete gli spaghetti.
Impiattarli e cospargerli con una spruzzata di prezzemolo fresco finemente tritato.

3° metodo (valido esclusivamente per le telline)

Identico al 2° metodo, con le seguenti variazioni:
- Invece dell'olio mettete una cucchiaiata di sugna (strutto).
- Non mettete i pomodorini.

Impiattarli e cospargerli con una spruzzata di prezzemolo fresco finemente tritato.

Volendo (anche se sembra una bestemmia) potete grattuggiarci del pecorino romano).

Buon appetito.

Rotolo di ricotta e spinaci all'ebraica

Dosi per quattro - cinque persone ( abbondanti)

Per la sfoglia
3 hg. di farina bianca
2 uova intere
1o2 mezzi gusci d'acqua tiepida con un po' di sale

( se si vuole la ricetta meno leggera bisogna considerare 1 uovo per ogni etto di farina e quindi niente acqua)

Per il ripieno
1kg di spinaci
3hg. di ricotta
un bel po' di grana gratuggiato
noce moscata
sale
1 uovo

Preparazione
Per il ripieno:
fare lessare gli spinaci, scolarli e strizzarli. Aggiungere un uovo, la ricotta, il grana, il sale, una grattatina di noce moscata e mescolare bene.

Preparare la sfoglia lavorandola per circa 15 minuti. Fare una palla e ungerla, appena appena, con un filo d'olio. Mettere la palla di pasta in una carta forno o in una pellicola trasparente, avvolgerla in un tovagliol e. lasciarla riposare per almeno 20 minuti.

Stendere la sfoglia, molto sottile, su una tovaglia infarinata. Stendere il ripieno su tutta la superficie della sfoglia. Arrotolare alzando i bordi della tovaglia e chiudere, schiacciandole, le estremità del rotolo.

Avvolgere il rotolo in un telo e chiuderne le due estremità con uno spago bianco.

Far cuocere in acqua salata, precedentemente portata a ebollizione, per 25 minuti a fuoco medio.

Togliere con delicatezza il rotolo dall'acqua, togliere il telo, tagliare il rotolo in fette abbastanza spesse.
Condire con burro fuso e parmigiano o con un sugo di pomodoro precedentemente preparato.

Tortino ai pomodori e senape

Ingredienti:

pasta brisée (12404079.3)
4 o 5 pomodori tondi ben maturi
un vasetto di senape (http://www.meliorashop.com/images/senape%20de%20dijon.jpg)
timo e/o origano
sale

Preparazione:

Preparate con sufficiente anticipo la pasta brisée (almeno un'ora prima, mettendola poi in frigorifero e tirandola fuori solo all'ultimo minuto)
Scaldate il forno a 200°.
Lavate i pomodori e privateli dei semi e dell'acqua.
Tagliate i pomodori a fettine spesse circa 0,5 cm o poco più, salateli ed asciugateli un po' con carta assorbente da cucina ("scottex").
Stendete la pasta ed adagiatela su una teglia tonda da pizza, in modo che i bordi risalgano di un paio di cm circa. Bucherellate la pasta con una forchetta.
Distribuite la senape in uno strato leggero ma uniforme che ricopra tutto il fondo della pasta (spessore 2-3 millimetri).
Disponete le fette di pomodoro a cerchi concentrici ma senza che si sormontino tra loro, fino a ricoprire tutto il fondo (uno strato solo, quindi).
Cospargere con timo e/o origano, possibilmente freschi.
Infornare il tutto per 20 minuti- mezz'ora.
Dipende molto dal forno: dovrete accertarvi che il fondo sia ben cotto, senza lasciar bruciare i bordi.
Nel mio vecchio forno la metto a cuocere sul ripiano più basso, ma anche in questo caso dovrete andare un po' per tentativi o basarvi sulla vostra esperienza.
Va servita calda.

Un'ottima variante è quella di distribuire qua e là sui pomodori anche dei pezzetti di formaggio saporito tipo roquefort (http://www.formaggio.it/francia/Roquefort.jpg) o simile, delle fettine di caprino (http://www.fromages-xavier.com/images/fromage-bichonnet.jpg), oppure del formaggio emmenthal grattugiato.

Tortiglioni al ragù di seitan*

(gli ingredienti sono per 4 persone ma le foto si riferiscono a 2 porzioni poichè a mia mamma non va molto a genio il seitan! :D)

ingredienti per 4 persone: 400 grammi di tortiglioni, 240 grammi di seitan fresco, passata (o polpa) di pomodoro, 1 cipolla bianca, 1 costa di sedano, 1 carota, 1/2 bicchiere di vino rosso, olio extravergine di oliva, sale

preparazione:

- procurarsi il seitan FRESCO
(http://img244.imageshack.us/my.php?image=21012009by6.jpg)

- mondare le verdure e farne un trito...poi soffriggere il trito nell'olio

- tagliare il seitan a cubetti
(http://img244.imageshack.us/my.php?image=21012009001ac7.jpg)

- una volta che le verdure saranno imbiondite, aggiungere il seitan tagliato a cubetti
(http://img514.imageshack.us/my.php?image=21012009002xl6.jpg)

- sfumare con il vino rosso

- quando il vino sarà assorbito, aggiungere la passata (o la polpa) di pomodoro e sale quanto basta
(http://img300.imageshack.us/my.php?image=21012009003yq4.jpg)

- dopo di che cuocere a fuoco lento con il coperchio per circa un'ora (o perlomeno fino a quanto il composto sarà sufficientemente denso)
(http://img514.imageshack.us/my.php?image=21012009004lo7.jpg)

- cuocere i tortiglioni lasciandoli al dente

- saltare in padella con il ragù e a piacere con parmigiano grattugiato

- servire, che è pronto! :D
(http://img300.imageshack.us/my.php?image=21012009005um6.jpg)

(cucinato ieri sera! :D)

* Il seitan è un alimento altamente proteico ricavato dal glutine del grano tenero o da altri cereali come farro o Kamut.

Il seitan viene cotto ed insaporito in acqua con salsa di soia (shoyu o tamari), alga kombu, sale. Il frumento contiene quattro proteine, di cui due idrosolubili e due no; una delle due proteine non idrosolubili si chiama glutine. È ideale per un' alimentazione vegetariana o di semplice riduzione di cibi di origine animale, di colesterolo, grassi e calorie. Ha un apporto proteico elevato (18%), contiene pochi grassi (1.5%). Di aspetto simile alla carne, il suo sapore è invece più delicato e la sua consistenza più morbida, anche se spesso quest'ultima varia da un tipo di seitan ad un altro. In commercio è possibile trovare seitan al naturale, oppure alla piastra, a cubetti, affettato come antipasto, affumicato, aromatizzato, usato anche per produrre prodotti simili a würstel con affinità di sapore a quello animale. Il seitan non è tuttavia un alimento completo, possiede infatti una bassa percentuale di alcuni aminoacidi essenziali, è comunque altamente digeribile e quindi adatto a bambini ed anziani; essendo ricavato dal glutine è sconsigliato per chi ha problemi di celiachia o di intolleranza. Le calorie sono intorno alle 120 per 100 gr di prodotto, quindi simili a quelle della carne, senza però i grassi saturi e colesterolo di quest'ultima. Anche il livello proteico è elevato, pur se leggermente inferiore a quello della carne. Il seitan può essere cucinato in tantissimi modi e le preparazioni sono molto simili a quelle della carne, con però il vantaggio di essere molto più veloci, poiché il seitan è un alimento già cotto.

Anguilla delicata

Comprare 4 anguille vive.
Arrivati a casa, senza toglierle dalla busta in cui ve le hanno consegnate, inserirle nel congelatore e tenercele 20/30 minuti.
Quando le tirerete fuori saranno un po' instupidite dal gelo e quindi non si agiteranno più come facevano prima.
Non illudetevi, non durerà molto, per cui completate l'operazione di pulizia nel più breve tempo possibile.

PULITURA
Con un coltellaccio staccate di netto la testa ed eliminatela.
Strofinate vigorosamente l'anguilla con del sale grosso, in modo da eliminare tutto il muco presente sulla pelle.
Infilate un coltello appuntito ed affilato oppure la punta di un paio di forbici nell'ano dell'animale e, facendo attenzione a non tagliarvi, apritene la pancia fino all'attaccatura della testa.
Evisceratelo accuratamente, quindi sciacquatelo bene in acqua corrente.
Tagliate l'anguilla a pezzi da circa 10 centimetri ciascuno, e lasciatela riposare in una zuppiera coperta.

PREPARAZIONE
Fate un bel trito sottile con un gambo di sedano, mezza cipolla, una carota, quattro spicchi di aglio, abbondante prezzemolo.
Aggiungete una foglia di alloro, 4/5 grani di pepe nero interi dell'olio ed una noce di burro e fate rosolare sul fuoco.
Quando vedrete che il composto sarà ben appassito, aggiungete un bicchiere di vino bianco e contemporaneamente le anguille.
Aggiungete sale quanto basta e lasciate ben cuocere le anguille e sfumare il vino.
Quando le anguille vi sembreranno ben cotte, toglietele dal tegame, sgrondandole al meglio, e mettetele da parte.
Al sughetto nel tegame aggiungete una decina di pomodorini vesuviani (o in alternativa ciliegini siciliani) dissemati e fate cuocere ancora per 15/20 minuti.
Dopodiché con il passaverdure passate il tutto in modo che diventi un sughetto liquido/cremoso omogeneo.
A questo punto prendete i pezzi di anguilla, passateli nel pangrattato, quindi nell'uovo sbattuto, quindi di nuovo nel pangrattato e friggeteli in una padella con abbondante olio.
Passateli su dei fogli di carta cucina in modo da assorbire tutto l'olio quindi impiattateli versandoci su il sughetto bollente della cottura.

Buon appetito.

Formaggio imbriago (o embriago)

ovvero Formaggio Ubriaco

Per produrlo vengono utilizzate forme di formaggi locali (Veneto o Friuli) a pasta semicotta (come l'asiago o montasio) con stagionatura minima di 2 mesi. Le forme (prive di difetti come rigonfiamenti, spaccature, muffe o parassiti animali) vengono immerse nelle vinacce di uve bianche e rosse. La crosta diventa di colore giallo paglierino marcato se si utilizzano vinacce di uve bianche, violaceo se le vinacce sono di uve rosse. La pasta ha un colore variabile tra il bianco e il giallo paglierino; il sapore è piccante e aromatico.

Storia

Il particolare trattamento dell'ubriacatura sembra essere stato scoperto casualmente dai contadini della zona che, per timore delle razzie austriache durante la Prima Guerra Mondiale, presero l'abitudine di nascondere le forme di formaggio tra le vinacce. Secondo un'altra ipotesi questo trattamento si dovrebbe a un contadino che, non potendosi permettere l'olio per lucidare le forme, decise di utilizzare il mosto.

Degustazione

Possiamo considerarlo come il formaggio di fossa, ma lasciato riposare sulle vinacce. Il formaggio, maturando lentamente, acquista un leggero gradevole profumo di vino. Fantastico se gustato con marmellata di uva e mele cotogne o con una fettina di lonzetta di fichi.
E' ottimo anche al naturale, con verdure fresche di stagione, su pane caldo o in parecchie pietanze. Più complesso è il suo utilizzo nei primi piatti; vista la sua personalità deve essere utilizzato come sapore aggiunto piuttosto che come base del piatto. A meno di non essere grandi chef :)

Consiglio l'accostamento con Cabernet o Merlot, visto che è con le loro vinacce che - nella tradizione veneta - viene fatto invecchiare il formaggio. Oppure un Amarone come ottimo contrasto.

Il friggione

Il Friggione è una ricetta tipica dell'Emilia Romagna, in particolare modo di Bologna.

Il Friggione è considerata una ricetta veramente storica tant'è che la ricetta originale viene conservata presso la Camera di Commercio di Bologna, privilegio riservato solo ai più conosciuti Tortellini, alle Tagliatelle e al Ragù.

La preparazione del Friggione è in realtà molto semplice, un pò più lunga la preparazione, a causa dei tempi di macerazione, è consigliato pertanto prepararlo alla sera prima per l'indomani.

Affettate molto finemente le cipolle andandole a miscelare con il cucchiaino di sale grosso e quello di zucchero, lasciate macerare il tutto per almeno 4 ore mescolando di tanto in tanto.

Mettete le cipolle e il liquido che avranno rilasciato in un tegame aggiungendo lo strutto, lasciate cuocere a fuoco basso per almeno 2 ore rimestando di tanto in tanto.

Quando le cipolle si saranno scurite, trascorse le 2 ore, aggiungete i pomodori tagliati a pezzettini e continuate la cottura per almeno un altra ora e mezza; il risultato finale dovrà essere una specie di crema, a questo punto regolate di sale e pepe.

Ingredienti
Cipolle 2,5 kg
Pomodori 200 gr. pelati freschi
Sale 1 cucchiaino
Strutto 2 cucchiaini
Zucchero 1 cucchiano

Il pesce al sale

Ingredienti:
Un pesce (orata, spigola, dentice...quello che trovi)
3Kg di sale grosso
Una teglia abbastanza capiente

Pulite il pesce dalle interiora, togliete le pinne e un pezzo della coda (se avete bisogno di guadagnare spazio nella teglia), ma non le scaglie!
Lavate bene e asciugate bene il pesce e guarnitelo all'interno come vi pare..al limite anche solo un filo d'olio!
Fate nella teglia un base di sale, adagiatevi il pesce sopra e copritelo interamente e abondantemente con il resto del sale!
Infornate a 220° gradi e fine!
E' esente da errori perchè sotto sale in forno il pesce trasuda il liquido di cottura che viene subito assorbito dal sale formando una crosta dura che lo avvolge e lo cuoce sempre a puntino...anche se esagerate con i tempi non succede granchè.
Il che risulta utile anche per chi come me non ha molta dimestichezza con i tempi della cucina.
Potete invitare gli amici e sforare in chiacchiere per poi sfornare uno splendido pesce al sale fra gli "Oooh!!" degli amici che vi guardano come se foste uno chef vero (poveri ingenui!), perfettamente cotto a puntino.
Basta fare attenzione a togliere il sale in eccesso nella teglia, prima di rompere il guscio di sale che avvolge il pesce, e sorvolare sulle condizioni immonde della cucina dopo che avrete tolto tutto quel sale puzzolente e unto...ma tant'è..mica siamo dei veri chef!!
:-DD

Crostini di fegatini

Per la ricetta mi riferisco solo al sugo di fegatini...poi per il tipo di crostino usate il pane come vi pare, anche se da noi si usa le baguette tagliate a rondelle, tostate in forno e spalmate di burro o inzuppate leggermente nel brodo.

Prendete 3/4 etti di fegatini pollo ben puliti e lavati, tagliateli a metà o cumunque in pezzi non molto piccoli e scottateli in padella per toglierli l'acqua che secernono (troppo amara credo).
In precedenza avrete preparato un soffritto in olio extravergine d'oliva di 1/2 cipolla rossa, una costola di sedano e una carota.
Aggiungete i fegatini (senza l'acqua che hanno prodotto prima) e cuocere a fuoco molto basso.
Quando la cipolla è ben cotta si passa il tutto col frullatore (eeehh..la modernità!) e si passano in un altro tegame (sempre a fuoco basso) insieme ad un bel pezzo di burro (non abbiate paura..), una buccia di limone e due dita di Marsala (solo ed esclusivamente Marsala eh!..guarda che vi vedo!!!).
Quando il Marsala evapora si aggiunge una puntinina di pomodoro (pochissimissimo) e un pò di brodo, una spruzzata di capperi e acciughe finemente tritati (in via del tutto accezzionale è ammesso l'uso di pasta di capperi e pasta d'acciughe).
Finito e pronto da spalmare!

Pappa al pomodoro

Qui, purtroppo, è come per la Ribollita...se non avete il pane toscano sciapo non sò come farete, comunque...

Prendete circa 300/400gr di pane raffermo (vecchio di due tre giorni al massimo e non muffato), tagliatelo a fette o a pezzi e aggiungetelo al tegame in cui prima avrete messo a cuocere 4 pomodori SanMarzano (freschi) tagliati a pezzetti, del basilico e due spicchi d'aglio (interi).
Olio a volontà e allungate con un pò d'acqua e una punta di dado vegetale...controllare il sale e cuocete finchè non diventa un impasto omogeneo.
Fine

Riso alla zucca

Ingredienti (per 4 persone): un quarto di zucca di medio-piccole dimensioni, 400 grammi di riso, brodo vegetale, olio d'oliva, un bicchiere abbondante di vino bianco, mezza cipolla, burro qb, parmigiano qb, un pizzico di prezzemolo

preparazione:

- soffriggere la cipolla nell'olio d'oliva

- aggiungere la zucca tagliata a piccoli pezzi



- aggiungere un paio di mestoli di brodo affinchè la zucca formi una sorta di purea




- quando si sarà formata la purea, aggiungere il riso




- aggiungere il vino e il brodo quando necessario

- a metà cottura aggiungere il pizzico di prezzemolo




- portare a fine cottura, e mantecare con burro e parmigiano

- mettetelo nei piatti e MANGIATE DI GUSTO!!! :D



(l'ho cucinato ieri sera! :D)

Trippa al pomodoro

Dose per circa 4 persone (ma meno non ne fate..piuttosto mangiatevela per due giorni)

Prendete circa 1 Kg di trippa bianca
Risbollentatela, per togliere i residui di grasso in eccesso, per 20 minuti in acqua bollente..poi scolare bene nello scolapasta.
Preparare un battuto di cipolla, carota e costola di sedano..fatelo appassire in olio (il solito extra o nulla!!)
Aggiungete la trippa, che avrete precedentemente tagliato a striscioline tipo fettuccine di 1 cm per 4, e appena saltate aggiungete una barattolo di pomodori pelati.
Fare bollire fino a cottura aggiungendo acqua per non farla attaccare.
Utile anche un pò di formaggio parmigiano e una puntina di dado vegetale.
Fine

Roast beef all'inglese

In realtà quella che vi do è la ricetta (molto simile) del

Rosbif

come si fa in Toscana.

Prendere un lacerto (magatello) di coscia, (cioè dalla zampa posteriore - quello di spalla è più piccolo e più nervoso) di bovino adulto.
Peserà circa Kg. 2,5/3,5 a seconda delle dimensioni dell'animale.
Preparate un bel trito di aglio (non con il premiaglio, altrimenti a carne cotta vi apparirà verde) e mescolatelo con un'adeguata quantità di sale fino.
Sul pezzo di carne, con un punteruolo da cucina (ma va bene anche un coltello) praticate tre fori profondi nel senso della lunghezza, sia da un capo che dall'altro.
Inserite, con pazienza, in questi fori il trito di aglio e sale che avete preparato.
Strofinate dell'aglio schiacciato lungo tutto il pezzo di carne, passateci attorno del sale fino, quindi, contornandolo con 3/4 rametti di rosmarino, legatelo molto stretto con dello spago da cucina.
Mettetelo in un ruoto con un filo di olio.
La cosa più complicata di questa semplice ricetta è il tempo di cottura, per far sì che la carne sia cotta, ma il cuore rimanga al sangue:
In forno già caldo a 200/250 gradi, deve cuocere circa 15 minuti per ogni chilo di carne.
Quindi se il pezzo pesa 3 chilogrammi, dovrà cuocere per circa 45 minuti.
Nei primi minuti di cottura giratelo da ogni lato, in modo che faccia la crosta scura tutt'intorno, poi lasciatelo cuocere.
Quando sarà pronto togliete lo spago ed il rosmarino, tagliatelo a fettine molto sottili e servitelo versandoci su un paio di cucchiaiate del suo sughetto.
Anche ottimo è freddo con versato su il sughetto bollente, oppure condito con olio e limone.

ATTENZIONE
Se l'intero pezzo di lacerto lo considerate eccessivo, e decidete di usarne, mettiamo, la metà, il peso diventerà di 1,5 chili, ma lo spessore della carne sarà uguale, quindi il tempo di cottura non potrà essere di 22/23 minuti (come il peso di 1,5 chilogrammi ci direbbe), ma dovrà essere di 30/35 minuti.
Naturalmente il grado di "al sangue" di vostra preferenza lo potrete raggiungere soltanto con l'esperienza.

Buon appetito.

Castagnaccio

Altro dolce regionale.
Premetto che per il castagnaccio vale la regola della ribollita..ogni zona della Toscana ha il suo castagnaccio e ogni zona pretende che il suo sia più buono, quello della mì mamma l'è insuperabile!!
Ingredienti:
400gr di farina di castagne dell'Appennino ToscoEmiliano macinate a pietra in mulino ad acqua in splendido paesino alle falde del Pratomagno...Loro Ciuffenna (Tiè!!)
2 cucchiai di zucchero
2 cucchiai d'olio (immaginatevi quale)
1 arancia
1 pizzico di sale
1/2 litro d'acqua
1 etto d'uvetta
6 noci
Pinoli a piacere
1 rametto di ramerino

Preparazione:
Si mescola tutti gli ingredienti insieme, avendo cura di usare solo i gherigli delle noci (ovviamente) e grattando tutta la buccia dell'arancia nell'impasto prima di spremerci anche il succo (farlo dopo averla spermuta è molto più difficile! Lo scrivo per esperienza diretta...ehmm.. :-D )
Si mette tutto il complosto, che sarà abbastanza liquido, in una teglia unta d'olio, aggiungendo sopra le foglie del ramerino!
In forno per 40 minuti a 180°

Adesso c'è da fare una precisazione...il castagnaccio c'è a chi piace alto e sofficione e a chi basso e secco (io sono per il secondo tipo)..basta usare una teglia più stretta per il primo e più larga per il secondo..a vostro gusto!
:-))